
Pensare l’economia circolare come un sistema economico equo per la redistribuzione del reddito attraverso l’utilizzo delle risorse naturali, significa necessariamente superare l’idea di un rapporto, tradizionalmente, antitetico tra sviluppo e tutela dell’ambiente.
Per destrutturare l’archetipo di tale rapporto conflittuale bisogna ridefinire la struttura economica, con le sue definizioni di sviluppo ed opportunità, e i suoi obiettivi.
Il valore della collettività
A tal proposito Laura Gherardi e Mauro Magatti propongono un diverso concetto di capitalismo: il capitalismo a valore contestuale.
Per valore contestuale si fa riferimento alla creazione di valore condiviso contrapposto all’idea di sviluppo a discapito dell’altro, che sia l’ambiente o il salariato. Una crescita, quindi, che leghi indissolubilmente il valore economico con il valore sociale inteso come valore per le collettività: si cresce in quanto ci si prende cura e si fa crescere il proprio contesto sociale di appartenenza.
Il contesto e la rigenerazione
È possibile riproporre l’idea di valore contestuale facendo riferimento al concetto di rigenerazione, partendo proprio da quelle pratiche che consentono la rigenerazione fisica della materia-energia e da queste basare la ricostruzione equa della collettività.
Per arrivare alla rigenerazione fisica della materia-energia il primo passo è implementare pratiche di efficientamento e risparmio energetico. In questo modo, investendo sul capitale natura si genera liquidità.
Il capitalismo a valore contestuale, quindi, può essere inteso come capitalismo naturale, non speculativo-finanziario. Questo esprimerebbe la sua forma più vicina alla reale economia sostenibile. Da qui appare semplice e coerente depurare tale concetto da un’interpretazione di matrice etica, riproponendolo nella sua versione più “laica”. Un tipo di struttura economica siffatta corrisponde ad un’opportunità effettiva di sviluppo e non solamente ad una scelta “giusta” dal punto di vista morale.
La governance per un capitalismo naturale
Nella nota degli autori di Circular Economy – Dallo spreco al valore, di Peter Lacy, Jakob Rutqvist e Beatrice Lamonica, si evince la volontà di “fornire ai manager gli strumenti per rendere la circular economy una trasformazione paragonabile alla globalizzazione e alla rivoluzione digitale e, a dirla tutta, per far leva su entrambi questi fenomeni allo scopo di scatenare una forza dirompente che sposti la nostra attenzione su una nuova era di crescita e innovazione, nella quale il successo nel business non sia più basato sullo sfruttamento delle risorse naturali e planetarie limitate, ma dia piuttosto vita a un’economia globale in grado di soddisfare i bisogni di tutti e per sempre”. Le aziende colgono, quindi, l’opportunità sulla base dei loro contesti operativi e grazie alle competenze dei loro manager, che possono offrire nuovi modelli di business di economia circolare.
Questi obiettivi, secondo Fabio Benasso, nella prefazione della stessa opera, consentono anche di generare più posti di lavoro e nuovi ricavi, riconducibili a una dinamica di generazione di liquidità.
L’insostenibilità del Business as usual
Gli autori di Circular Economy – Dallo spreco al valore annunciano, quindi, “La fine del business as usual” dimostrando che dal 2000 la pressione sulla fornitura delle risorse ha invertito il segno della correlazione fra popolazione e crescita economica: la domanda delle risorse è aumentata più velocemente di quanto l’innovazione tecnologica e la sostituzione di esse non l’abbiano fatta diminuire.
Gli autori individuano come prima crisi, “la natura finita e la crescente scarsità delle risorse non rinnovabili”. Quindi, il sovra utilizzo della risorsa-energia crea inevitabilmente un aumento del debito naturale che può essere tollerato solo nel breve periodo. Infatti, come tutti i debiti, prima o poi dovrà essere onorato.
Per far fronte a tale debito bisogna stabilire, sostanzialmente, la capacità di carico dell’ambiente e rendere le risorse non rinnovabili rigenerabili, creando un capitale natura attraverso il valore del lavoro, ovvero il capitale umano compreso nel capitale natura.
Infatti, anche per quanto riguarda la dimensione economico-politica, il business as usual non considera il suo debito sociale (come quello naturale). La creazione di ricchezza non deve portare necessariamente alle cosiddette esternalità negative, ossia agli effetti di irreversibilità economica tanto ambientale quanto sociale, o almeno quelle ambientali devono essere mediate da un meccanismo di mercato.
Per assorbire l’effetto indesiderato dell’irreversibilità economica o debito naturale è indispensabile il ricorso alla cooperazione fra le parti (condivisione), siano essi soggetti pubblici che privati.
Questo modello cambia il concetto stesso di mercato, con l’introduzione della variabile “produzione del capitale umano” (e quindi anche naturale) che si affianca a quella già esistente di “domanda-offerta”. Il prezzo dei prodotti e dei servizi, quindi, potrà essere calcolato sulla capacità di un’impresa di reimpiego del fattore lavoro e della valorizzazione dello stesso, oltre che sulla capacità di rigenerazione naturale (dematerializzazione) dell’attività economica sostenibile.
Per approfondire, i riferimenti delle opere citate:
L. Gherardi e M. Magatti, Una nuova prosperità, Feltrinelli, Milano (2014).
P. Lacy, J. Rutqvist e B. Lamonica, Circular Economy – Dallo spreco al valore, Edizione italiana EGEA (2016).
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