
La finanza aziendale per la transizione economica
Negli ultimi decenni, con l’avvicendarsi di varie crisi economiche e la loro controversa evoluzione, la finanza è stata perlopiù relegata, a livello mediatico, nella sua dimensione macroeconomica. Si è parlato molto di finanza pubblica, ma l’impresa e le sue problematiche sono state le grandi assenti nel dibattito nazionale ed europeo.
Il primo passaggio da compiere è distinguere la cosiddetta finanza globalizzata, dalla quale la finanza statale è strutturalmente dipendente, da quella aziendale affinché quest’ultima possa essere inserita al centro della discussione. Lo studio della finanza aziendale rappresenta difatti un aspetto essenziale per definire l’analisi e la cura dell’impresa come elemento di fondo dell’intero sistema economico. Bisogna partire dalla singola attività produttiva per riavvicinare l’economia finanziaria all’economia reale attraverso un percorso di costruzione metodologica-analitica.
Si deve “curare l’albero per salvare la foresta”.
Un investimento aziendale dovrebbe essere valutato come sostenibile non solo dal punto di vista finanziario, inteso in termini di “tasso di rendimento” atteso, ma anche come garante di una valutazione di “equità redistributiva”. Il finanziatore, nel suo ruolo di investitore, deve ricoprire una funzione di perequazione del rendimento affinché il progetto-azienda possa conseguire gli obiettivi rigenerativi della risorsa-energia prefissati. Il parametro di “equità redistributiva” permette, in prima battuta, di descrivere una transizione economica dei cicli produttivi verso il risparmio di risorsa-energia, sia nella fase di input che in quella di output di beni e servizi. In altre parole, una finanza sostenibile è possibile, ma solo nella misura in cui l’attributo venga definito come caratteristica funzionale del capitale finanziario: ovvero quando si considera l’efficacia del capitale strumentale investito all’interno del processo produttivo del soggetto principale del sistema economico, ossia l’azienda.
La “sostenibilità” finanziaria, per quanto concerne l’investimento in un’azienda, così come valutata attualmente dalla dottrina dominante, è definita dal tasso “opportunità” del finanziatore che, in una certa condizione di rischio, riduce il periodo dell’investimento: ciò in base a parametri quali il volume di fatturato, i prezzi di vendita, i prezzi di acquisto, la combinazione tra capitale di rischio (capitale proprio) e capitale di debito (capitale di terzi) etc. È finanziariamente sostenibile, quindi, un investimento caratterizzato da marginalità di rischio molto bassa.
Tuttavia le attuali valutazioni sono il risultato analitico di una modello di calcolo proprio di un’idea di sviluppo miope e, difatti, obsoleta. Se si desidera modificare una struttura economica all’insegna di una circolarità a tutto tondo, si ha bisogno di una finanza che si riferisca a modelli diversi da quelli lineari. Pertanto il calcolo del rischio dovrà procedere con la valutazione anche di parametri nuovi: risparmio e recupero di risorsa-energia, rivalorizzazione di risorsa considerata rifiuto, allungamento del ciclo di vita e massimo utilizzo dei fattori della produzione, riduzione degli scarti dei prodotti, ottimizzazione dei servizi, rigenerazione degli impianti produttivi, etc. Questi aspetti possono essere definiti come efficientamento dell’operations aziendali.
Ulteriore aspetto da considerare nel calcolo del margine di rischio è la durata prevista per i progetti di sviluppo. La durabilità è una caratteristica necessaria che determina la concretezza di una prospettiva sostenibile. Parallelamente, una finanza che supporti tali tipi di progetto non può che valutare un rientro e, quindi, un’idea di crescita aziendale paziente. Un progetto a medio-lungo termine che rispetti tutti i parametri di sostenibilità dovrà essere valutato con un indice di rischio inferiore rispetto a un progetto delineato in tempi brevi.
Procedere verso una transizione economica significa prevedere una rimodulazione generale, in toto: alla stregua della singola azienda che, per convertirsi, deve riordinare tutti i propri processi produttivi, anche il sistema economico generale deve rielaborare tutti le sue dinamiche di distribuzione del reddito.
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