
A maggio del 2022 Draghi esordisce a Strasburgo “Il nostro governo è nato come governo ecologico” ma “possiamo non essere d’accordo sul Superbonus del 110% e non siamo d’accordo sulla validità di questo provvedimento”, sostenendo che “il costo di efficientamento è più che triplicato, i prezzi degli investimenti sono più che tripli perché toglie la trattativa sul prezzo”.
Non è necessario ricordare le parole di Draghi circa la spesa occorrente per sostenere il Super Bonus, semmai queste possono essere utili, per comprendere come questo provvedimento abbia perso di vista il fine ultimo da raggiungere: ottenere una reale transizione energetica.
Per capire ciò, bisogna individuare quali siano gli investimenti strumentali necessari e come questi debbano essere dimensionati affinché si possa ottenere un effettivo “risparmio” energetico nel processo di transizione.
Un esempio per tutti nel circoscrivere il raggiungimento nel caso del “Superbonus”, è quello di considerare il generatore di energia rinnovabile come un investimento “trainato e non trainante” degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, tale per cui la finalità di questi ultimi finisce, nel calcolo della riqualificazione stessa, in una posizione secondaria e non necessaria per ottenere il salto delle famose due classi energetiche.
A livello normativo la combinazione necessaria, tra efficientamento energetico (riduzione dei fabbisogni energetici) ed autoproduzione energetica, viene scollata fino a tralasciare l’obiettivo stesso della transizione ecologica, riversando tutta l’attenzione sulla realizzazione dell’involucro abitativo.
Pertanto, lo scollamento dei due interventi combinati risiede anche in un dimensionamento che può risultare errato degli investimenti per una riduzione dei fabbisogni energetici delle famiglie.
La riduzione di questi ultimi è l’obiettivo principale, affinché i nuclei famigliari possano in primis far fronte agli investimenti necessari e poi, come aggiunta, usufruire dell’intervento dello stato attraverso il meccanismo del credito d’imposta.
Dunque, una tassonomia credibile per normalizzare l’intervento dello stato deve, prima di tutto, riferirsi ad un’“isola energetica” (unità abitativa) atta a circoscrivere il soggetto beneficiario del credito d’imposta come l’autoprosumer, il cui scopo finale è il raggiungimento di un certo livello di autosufficienza energetica.
Proprio il livello di quest’ultima doveva essere il riferimento normativo su cui calibrare la misurazione degli interventi e non il mero calcolo dei mq di involucro abitativo (finestre, cappotti, etc.) o, peggio ancora, il semplice cambiamento di un generatore termico (da caldaia a gas a pompa di calore) senza un riscontro nel dimensionamento del fabbisogno energetico.
La prima stortura normativa, dunque, parte dalla definizione del tetto massimo ammissibile in funzione di un calcolo lineare degli interventi, generando la conseguente speculazione dei prezzi. La seconda è quella, invece, di consegnare l’interesse della finanza pubblica ad un sistema perverso di intermediazioni finanziarie, con le continue cessioni dei crediti fiscali ottenuti.
Al di là di ogni speculazione politica o ideologica, bisogna ammettere che la parola “sostenibilità ambientale” non può essere scambiata con “opportunità di speculazione finanziaria”, altrimenti non staremo consegnando nulla di buono alle nostre comunità.
Oltre alla misura immorale del “Super Bonus” (110%) che non permette di re-innescare quel processo virtuoso di moltiplicazione degli investimenti sulla base dei livelli di autosufficienza energetica, la concezione del legislatore per questo intervento ha generato un risultato, ahimè, nefasto anche per quelle categorie di imprenditori – e mi riferisco alle grandi industrie e alle multinazionali- che pensavano di approfittare di questo “regalo”, ma che ora rischiano di causare centinaia di migliaia di disoccupati, benché l’intervento pubblico aveva in sé una grande opportunità nel raggiungere più rapidamente la sospirata transizione ecologica ed una maggiore indipendenza energetica.
Lo stop immediato alla cessione dei crediti e allo sconto in fattura sancisce una fine inevitabile di un provvedimento che non era stato originariamente calibrato per raggiungere l’obiettivo. Tuttavia, dagli errori possiamo imparare. Sono convinto, infatti, che l’intervento pubblico pensato per accelerare la transizione energetica del nostro Paese rimanga auspicabile e a tratti necessario. Due sono i punti che dovrebbero ispirarlo: incentivare un investimento che sia realmente dimensionato ai fabbisogni del consumatore auspicando lo sviluppo di autoprosumer e di isole energetiche autosufficienti; ed infine, la morigeratezza. Non è necessario eccedere con il bonus, basterebbe un incentivo più misurato sul 60%-80%; perché bisogna ricordare che questi interventi devono servire a moltiplicare i buoni investimenti – che di per sé dovrebbero portare a una riduzione dei costi di consumo per i cittadini- e non devono essere considerati come una ricompensa per un gesto buono ma non conveniente.
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