L’economia circolare come soluzione per l’auto-finanziamento di impresa

L’economia circolare come soluzione per l’auto-finanziamento di impresa

Il paradosso del modello finanziario tradizionale applicato all’impresa circolare

I processi produttivi incentrati su l’economia circolare, che hanno alla base il risparmio di risorsa-energia, determinano una corrispondente generazione di liquidità propria del risparmio, che, sommata alla eventuale marginalità caratteristica dell’attività d’impresa, determinano i flussi d’entrata.

Con l’aumento dei flussi di liquidità avviene un fisiologico aumento dell’utile operativo dell’azienda che, in una visione tradizionale di finanza aziendale, andrebbe a far lievitare i tassi di rendimento sia del capitale proprio che del capitale di debito mediante un meccanismo di speculazione a catena.

L’obiettivo finale di tale dinamica, quindi, è incentrato perlopiù sull’aumento del valore del capitale, e non sul “benessere” del progetto azienda sostenibile in quanto tale. In altre parole, il perno della finanza aziendale tradizionale non è costituito dalla sostenibilità produttiva della stessa ma da una sostenibilità speculativa. Questo è uno dei principali processi che portano ad un progressivo scollamento fra finanza ed economia reale.

Una nuova ottica per ridefinire la funzione finanziaria dell’azienda sostenibile

È necessario valutare una possibile stabilizzazione della funzione finanziaria all’interno dell’azienda stessa, delineando un percorso di capitalizzazione aziendale come patrimonializzazione interna: la generazione di liquidità dovrà servire non solo a pagare i dividendi, ma anche al reinvestimento nel progetto sostenibile.

Se si stabilisse una percentuale di liquidità generata dall’attività produttiva, intesa anche come attività di risparmio risorsa-energia, necessariamente destinata al reinvestimento si genererebbero tre effetti concatenati:

1) Abbassamento del rischio finanziario.
Un reinvestimento per il mantenimento e l’ottimizzazione delle attività produttive garantirebbe una durabilità rilevante, ovvero un’affidabilità di lungo periodo dell’attività d’impresa. Avere una prospettiva di vita lunga significa avere una solidità e una sicurezza che si convertirebbe, a livello finanziario, in una conseguente diminuzione del rischio.

2) Stabilità dei tassi di rendimento dei dividendi agli azionisti.
La capitalizzazione dell’impresa sostenibile deve avvenire in funzione del reinvestimento nella attività affinché non diventi strumento di speculazione sul valore dell’azienda stessa. La parte del guadagno reinvestita consoliderebbe il patrimonio aziendale e la condivisione all’interno del rapporto con tutti gli stakeholder con la conseguente redistribuzione del reddito.

3) Stabilità dei tassi di rendimento sul capitale di debito.
Anche il rendimento del capitale di debito, stabilizzandosi su un livello di rischio molto basso, rimarrebbe soddisfacente ed equo.

Da un punto di vista prettamente finanziario la normalizzazione dei rendimenti consentirebbe, quindi, una equa redistribuzione del reddito ai vari stakeholder. Ciò alimenterebbe un risparmio tale per cui una parte di esso dovrà essere utilizzato negli investimenti dell’azienda stessa.

La condivisione pertanto, di un progetto sostenibile, è essenziale e consiste nel “ricucire” il risparmio ottenuto, con gli investimenti destinati al processo di circolarità economica, e nel ricollegare la finanza all’economia reale. Questa può essere definita come la condicio sine qua non per l’avviamento di cicli produttivi effettivamente sostenibili.

Quanto ribadito sin qui non può che rafforzare la consapevolezza che per convertirsi in economia circolare è necessario un cambio di mentalità imprenditoriale in senso olistico.

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